Mi siedo a pensare. A rimuginare. Mi dicono sempre che pensare faccia male e che non porti da nessuna parte. Vero, mi dico tra me e me, ma non riesco a farne a meno. Mi sento frustrata. Insoddisfatta. Non mi sento realizzata. Le parole ed i pensieri si affollano nella mia mente, si intricano, creano nodi indissolubili e perdo il filo, non c'è un'Arianna a tenderlo per me, a farmi ritrovare la via d'uscita.
Afferro la bottiglietta d'acqua sopra il comodino, ne bevo un lungo sorso, chiudo gli occhi.
Una voce che sembra un sussurro, forse la mia coscienza o la mia parte razionale, rimbomba nella mia mente con una frase che da tempo mi assilla: "era davvero questa la vita che sognavi da piccola?"
Certo che no, ovviamente NO. Tutti gli sforzi che ho fatto in vita mia non sono serviti a nulla.
Da piccola fantasticavo sul mestiere che avrei voluto intraprendere da grande e cambiavo di volta in volta idea, non avevo una professione in particolare perché mi piacevano tutte. Con la mia vocina insistente ma decisa, dicevo ai miei: "Da grande voglio essere una dottoressa, per curare la gente. Ma anche una veterinaria, per salvare i cagnolini e i gattini. Anche un pompiere donna, per salvare dal fuoco la gente, perché il fuoco è brutto, è cattivo".
Sin da piccola ho voluto sempre salvare le persone, in un modo o in un altro. Nel frattempo sono cresciuta, sono diventata una donna. Ma l'empatia che mi ha sempre caratterizzato da piccola non mi ha abbandonato, anzi, è cresciuta dentro di me fino a diventare uno dei miei pregi, di cui vado fiera. Dai miei amici, dalla mia famiglia o dai conoscenti vengo vista come un cavaliere dall'arma scintillante che accorre in aiuto e salva la gente. Lo capisco, lo sento, quando qualcuno ha bisogno di "essere salvato", che siano problemi quotidiani banali, problemi d'amore o quant'altro. C'è sempre Jane a venire in soccorso. Mi immedesimo in loro e cerco di aiutarli come posso. Ma chi aiuta me? intendo DAVVERO. NESSUNO SEMBRA RIUSCIRE A SBROGLIARE QUESTA MALEDETTA MATASSA.
Amo la mia famiglia e i miei amici. Ma mi curano solo a metà. C'è un qualcosa di irrisolto, qualcosa a cui non sono riuscita a dare un nome, a scovarlo da quella matassa. Ma è quello che farò. Così posso guarire.
Ho fatto un sogno, uno dei miei soliti sogni nebulosi, frettolosi e privi di logica.
Ma questo alla fine era diverso.
Dopo aver camminato a lungo, senza meta, mi ritrovo in una stazione semibuia. Cammino ancora, sento l'eco dei miei passi sul pavimento, i sensi all'erta perché ho paura che qualcosa o qualcuno possa sbucare all'improvviso dalle scale o dai binari. Mi fermo ad osservare la scena che mi trovo davanti: un tabellone, con scritto destinazioni in una lingua che non conosco, torreggia sopra di me e mi fa sentire piccola, indifesa. Nelle pareti di pietra fredda vedo scritto il mio nome in sequenza. Jane. Jane. Jane.
D'un tratto m ritrovo a correre, non sento più nulla, tutto si cristallizza in quella che sembra essere la corsa della mia vita. E poi lo vedo, il binario. Binario 6. Senza chiedermi come o perché, mi avvio in quella direzione e prendo il treno. Le porte si aprono ed io mi siedo nei sedili di pelle logora, fissando fuori dal finestrino. La vocina della mente, stavolta, mi dice solo due parole:
"Vai avanti"
Mi sveglio di soprassalto, col cuore in gola. Questo sogno è diverso, mi turba nel profondo e sembra che voglia dirmi qualcosa, che ci sia un significato nascosto, una metafora.
Poi realizzo tutto, all'improvviso. Senza pensarci due volte, accendo il pc, accedo alla casella di posta elettronica e mando finalmente quella dannata email, completa di curriculum, ad uno studio di veterinaria di Seattle. "E' impossibile, mi dico, ma tentar non nuoce. Basta avere paura. "
Solo un posto disponibile e già avevano ricevuto 1500 curricula. Ma il fatto che mi fossi decisa a mandarlo lo stesso, sta a significare che qualcosa si è mosso dentro di me. Nel profondo.
"Andiamo Jane, non hai 7 anni, non ti illudere e vivrai più tranquilla", mi dico tra me e me. Perché una cosa che ho imparato, in tutti questi anni e in 7 anni di laurea e master, che maggiore è l'aspettativa e maggiore sarà la delusione.
Dopo due giorni arriva un'email e mi ritrovo a balzare dal mio letto come una gazzella. Poi vedo il "[email protected]" dell'indirizzo email dello studio di Seattle e il mio cuore salta un battito. "Grazie per aver inviato il suo curriculum, le faremo sapere se il suo profilo corrisponde a quello da noi ricercato. Distinti saluti". Ed ecco che arriva la delusione, fredda e spietata. Se lo aspettava, ma ogni volta è un colpo all'anima. Chiudo il portatile, mi vesto ed esco fuori, telefono silenzioso, dirigendomi verso il porto del paese. E' lì che mi fermo a riflettere, un luogo nel quale le ore si confondono coi minuti e tutto sembra acquisire una calma apparente, prima della tempesta.
Inaspettatamente, contro ogni previsione, l'email arrivò. Il posto era mio. Sfioro il cielo con un dito e lacrime salate bagnavano il mio viso abbronzato, non credendo che per una volta la vita mi aveva sorriso. Saluto tutti, amici e parenti e con un groppo in gola mi dirigo verso quel mondo sconosciuto che diventerà il mio. Sono un misto tra paura, confusione e adrenalina.
Eccomi qui, al binario 6, valigia in mano. Una valigia piena di sogni. Uno già realizzato.
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
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