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Pubblicato il 17 dicembre 2019 in Thriller/Noir
Come sceneggiatore Ralphs valeva quello che gli
dicevano di valere e agiva di conseguenza:
v'era chi diceva che producesse sciatterie eleganti,
noir illuminanti, storie d'amore con il buco in mezzo.
Era arrivato alla mecca del cinema perché i suoi libri
non si vendevano e, in qualche maniera, poteva e voleva
sopravvivere; la celluloide gli offriva questa ciambella
di salvataggio, nel mentre che buttava giù il suo romanzo
"definitivo", nel mentre che pigliava appunti sulle distorsioni
di L.A. e ne faceva materia per un'epica scassata e
vorticosa:
una bibbia delle cattiverie e del cinismo.
Da tempo non aveva una ragazza. E non aveva un futuro.
Da quando era andato a San Bernardino per una giornata
sul cinema con Dobson, il famoso produttore.
La giornata del Cinema era un'occasione per le giovani
starlettes di farsi notare, e di illudersi di avere un futuro
alla mecca insieme al famoso produttore.
Tutto quello che ottenevano era mezzora di pompini e
(se andava bene di scopata) con Dobson nella sua
suite imperiale e insonorizzata, più una vaga promessa
di pensarci su, quando avrebbe avuto una parte adatta
alle loro caratteristiche.
Il famoso produttore presentava Stewart Ralphs.
Lo sceneggiatore.
Punta di lancia della loro Casa, lo invitava a chiacchierare con le
fanciulle, di cavarne qualcosa di buono, insomma, per le sue storie.
Ralphs obbediva mestamente, mentre veniva inondato
da aneddoti su drive-in, futuri matrimoni, e spari con la doppietta
ai cani del vicino.
Nulla da cui trarre qualcosa di decente, eccetto che per un
prontuario sull'orrore di periferia, e Ralphs ne aveva
ricavato anche un gran mal di testa, un'ansia implacabile,
che necessitava un po' di demerol per placarsi.
La giornata era andata così. E di notte, dopo la cena collettiva,
sguaiata e paludosa, lui era salito nella suite di Dobson,
per chiedergli un sonnifero.
Stranamente l'aveva trovato solo e (meno stranamente) di
cattivo umore. Il grand'uomo gli aveva rifilato una pasticca
di nembutal e poi s'era messo, nervosamente, a tirare fuori
da una ventiquattrore tutta una serie di foto di grande formato,
che rappresentavano donnine nude, in varie posizioni e attività.
"Sai, Stewart." Gli aveva detto. " Sono perseguitato da queste
aspiranti attrici. E allora cosa faccio: Le scopo, le faccio foto
piccanti e poi le dimentico. Però è quasi Natale e ho pensato
di farti un regalo: sfoglia questa roba e dimmi se c'è qualcuna
che ti piace.
Così la facciamo venire a Hollywood, la piazziamo in un
bungalow, e tu te la tieni come zoccola personale.
Che ne pensi? Ti conosco da tre anni e ti ho visto solo in
compagnia di stronzette intellettuali.
Perché non cambi registro, Stewart? Guarda che queste
non te lo mordono. Te lo succhiano!"
Ralphs si sentì i conati di vomito per la cena troppo abbondante,
il troppo mezcal ingurgitato, e quello che gli stava passando
tra le dita.
"Ha mica, anche, un digestivo?" Chiese a Dobson.
"Guarda nell'armadietto. C'è della roba messicana niente male."
Ralphs ciabattò fino al luogo indicato, tirò fuori una bottiglia piena
con l'etichetta in spagnolo, e se ne calò un buon sorso.
Subito gli parve di avere bevuto piscio di gallina, mescolato
con succo d'acero.
Ma fece finta di nulla, e tornò a sfogliare, con un ghigno strano,
il campionario di puttanelle o ingenue ambiziose.
Arrivò a quella che era la sua ragazza segreta da tre mesi:
Sylvie Dollain.
La squadrò per bene, girando persino la foto, e cominciò
a sudare.
"Bella quella, vero?" Fece Dobson. "Deve avere un nome
francese e mi è rimasta impressa. Lasciala da parte che
le trovo una particina. Ma che hai, Stewart? Mi sembri a pezzi.
Ti piace la tipa? Puoi averla."
Ralphs si rifiutò di rispondere, perché il fulmine del
ricordo lo aveva colto preciso, in mezzo agli occhi.
Alla fine la aveva riconosciuta:
sepolta, com'era, sotto quintali di trucco di scena non
era stato per mesi di avviarne il ricordo.
A Sylvie.
A Fairmount, Indiana.
Ai suoi capelli corti a frangetta, ai suoi occhioni bovini,
e alle sue curve vergini. All'epoca era Mary Sue Carpenter.
Poi la fissò nuovamente nella foto.
Stava succhiandolo a Miguel Pardy Jr. il figlio illegittimo
di un regista settantenne, che aveva dettato legge
per un buon periodo alla mecca.
A un certo momento sentì che il nembutal e il "digestivo"
messicano stavano facendo effetto, così ordinò le diapositive
e le rimise sul letto in buona disposizione.
"No, signor Dobson, non ho trovato nessuna di mio gradimento
o nessuna che mi ricordasse niente di buono.
Ma stia pure certo che mi darò da fare, d'ora in avanti, per
trovarmi la novia. Dio non voglia che passi per finocchio!"
Dobson sorrise e cavò fuori il brandy. "Ecco, così Mi piace."
Furono le ultime parole che essere umano (al di fuori di Stewart)
lo sentirono biascicare.
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
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