Che cosa si intende con la parola Mafia?
Con mafia si indica una qualsiasi organizzazione criminale retta dall'omertà e regolata da riti, legami familiari e percorsi iniziatici peculiari che ciascun appartenente, detto affiliato è tenuto a rispettare.
Nella definizione di Antonino Caponnetto si tratta di "una associazione segreta per atto costitutivo, verticistica, unitaria e su base familistica".
Una delle organizzazioni del genere più famosa è nota come Cosa nostra (si tratta della mafia propriamente detta), espressione che si riferisce alla mafia siciliana e che venne utilizzata per la prima volta pubblicamente dallo statunitense Joe Valachi.
La mafia in Italia ha origini e tradizioni secolari e ha avuto un ruolo importante nella storia, prima, durante e dopo l'Unità d'Italia.
La nascita del fenomeno è tuttora ritenuta incerta: infatti le organizzazioni di tradizione secolare sono la camorra, la 'ndrangheta e Cosa nostra (le ultime due però divenute piuttosto note solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo). Da quest'ultima si suppone siano sorte ulteriori organizzazioni di stampo mafioso, quali la stidda nella Sicilia centro-meridionale (nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa). Da ricordare anche la Sacra Corona Unita in Puglia che sarebbe nata da una costola della Nuova Camorra Organizzata da Raffaele Cutolo.
Alcune di queste organizzazioni sono storicamente nate e sviluppatesi nei tradizionali territori dell'Italia meridionale e quasi tutti i fenomeni documentati non vanno oltre il XIX secolo. Una singolare prospettiva è quella offerta dalla camorra, unica vera eccezione, fenomeno malavitoso diffuso in Campania, ma che secondo alcuni autori avrebbe un'origine da ricercarsi altrove.[3] Difatti l'uso del termine camorra sarebbe attestato già nel XVII secolo,[4] mentre la derivazione etimologica da gamurra ribasserebbe ulteriormente la sua esistenza fino al Medioevo.[5] Secondo Vincenzo Mortillaro si può comunque supporre che camorra fosse già sinonimo del termine mafia nella prima metà del XIX secolo e che tale fenomeno dovette essersi esteso anche in Sicilia.[6]
Dopo l'unità d'Italia molti capi dei picciotti furono messi da parte: emersi grazie alla loro popolarità (il "rispetto") fra le masse, molti di loro si diedero alla violenza e all'illegalità. Con ambiguità la mafia riprese la simbologia e i rituali segreti di società iniziatiche antiche nonché di società religiose, cavalleresche e massoniche. Dopo l'unità l'apparizione in un documento ufficiale, con significato accostato al senso tuttora in uso di organizzazione malavitosa o malavita organizzata, è stata registrata per la prima volta proprio dopo l'unità italiana, contenuta in un rapporto del capo procuratore di Palermo nel 1865, ossia Filippo Antonio Gualterio.[7] Tra il 1898 e il 1900 il questore di Palermo Ermanno Sangiorgirealizzò un'inchiesta – passata alla storia come rapporto Sangiorgi – che spedì al Ministero dell'interno e che portò alla luce la diffusione del fenomeno in Sicilia, esempio fu la Fratellanza di Favara, operante nell'omonima cittadina in provincia di Agrigento.
Figlio di Diego Borsellino (1910 - 1962[3]) e di Maria Pia Lepanto (1910 - 1997[4]), Paolo Emanuele nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare della Kalsa, dove, durante le tante partite a calcio nel quartiere, conobbe Giovanni Falcone, più grande di lui di otto mesi. La famiglia di Paolo era composta dalla sorella maggiore Adele (1938 - 2011[5]), dal fratello minore Salvatore (1942) e dall'ultimogenita Rita (1945 - 2018).
Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo Paolo si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante gli anni del liceo diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". L'11 settembre 1958 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Palermo con numero di matricola 2301[6]. Dopo una rissa tra studenti simpatizzanti di destra e sinistra, finì erroneamente in tribunale dinanzi al magistrato Cesare Terranova, cui dichiarò la propria estraneità all'accaduto. Il giudice sentenziò che Borsellino non fosse implicato nell'episodio. Proveniente da una famiglia con simpatie politiche di destra nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d'Azione Nazionale, organizzazione degli universitari missini, di cui divenne membro dell'esecutivo provinciale e fu eletto come rappresentante studentesco nella lista del FUAN "Fanalino" di Palermo[7]. Il 27 giugno 1962, all'età di ventidue anni, Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su "Il fine dell'azione delittuosa" con relatore il professor Giovanni Musotto.[8] Pochi giorni dopo, a causa di una malattia, suo padre morì all'età di cinquantadue anni. Borsellino si impegnò, allora, con l'ordine dei farmacisti a mantenere attiva la farmacia del padre fino al raggiungimento della laurea in farmacia della sorella Rita. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120 000 lire al mese[9] e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici. A Paolo fu concesso l'esonero dal servizio militare di leva poiché egli risultava "unico sostentamento della famiglia".
Nel 1963 Borsellino partecipò a un concorso per entrare nella magistratura italiana; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando.[13], con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d'Italia[14] Incominciò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile.[15] Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme a Emanuele Basile, capitano dell'Arma dei Carabinieri.
Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo[16]. Nel 1980 continuò l'indagine sui rapporti tra i mafiosi di Altofonte e Corso dei Millecominciata dal commissario Boris Giuliano (ucciso nel 1979), lavorando sempre insieme con il capitano Basile[17][18]. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici, nuovo capo dell'Ufficio istruzione, si stabilì un rapporto, più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici, figlia del capo dell'Ufficio, come di "adozione" non soltanto professionale. La vicinanza che si stabilì fra i due uomini e le rispettive famiglie fu intensa e fu al giovane Paolo che Chinnici affidò la figlia, che abbracciava anch'essa quella carriera, in una sorta di tirocinio[19].
Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.
Chinnici istituì presso l'Ufficio istruzione un "pool antimafia", ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso e, lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso e, di conseguenza, la possibilità di combatterlo più efficacemente. Diminuiva inoltre il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra con lo scopo di riseppellire i segreti scoperti. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme con Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il 29 luglio 1983 Chinnici rimase ucciso nell'esplosione di un'autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponnetto nominato al suo posto.
Nel racconto che ne fece lo stesso Borsellino, il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, e separatamente, senza che avvenisse scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue, cosa che avrebbe potuto consentire una maggiore efficacia nell'esercizio della azione penale il cui coordinamento avrebbe consentito di fronteggiare meglio il fenomeno mafioso nella sua globalità.[19] Uno dei primi esempi concreti del coordinamento operativo fu la collaborazione fra Borsellino e Di Lello, che Caponnetto aveva voluto e richiesto in squadra: Di Lello prendeva giornalmente a prestito la documentazione che Borsellino produceva e gliela rendeva la mattina successiva, dopo averla studiata come fossero "quasi delle dispense sulla lotta alla mafia". Del resto era proprio la formazione di una conoscenza condivisa uno degli effetti, ma prima ancora uno degli scopi, della costituzione del pool: come ebbe a dire Guarnotta, "si andava ad esplorare un mondo che sinora era sconosciuto per noi in quella che era veramente la sua essenza"[19]. Le indagini del pool si basarono soprattutto su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti di polizia e carabinieri ma anche su nuovi procedimenti penali, che consentirono di raccogliere un abbondante materiale probatorio; nello stesso periodo Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, la cui attendibilità venne confermata dalle indagini del pool: il 29 settembre 1984 le dichiarazioni di Buscetta produssero 366 ordini di cattura mentre il mese successivo quelle di Contorno altri 127 mandati di cattura, nonché arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna[20].
Senza il camino fa freddo...
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