Questa storia è presente nel magazine Vivere per (r)esistere
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Pubblicato il 22 gennaio 2019 in Poesia
Certi giorni mi sovviene la città
che ho lasciato
e in essa i cortili dei giochi
e quel quartiere di casoni popolari
allora pensato grande
quanto l’intero mondo.
Un’isola di padri proletari
e ragazzi urlanti tra scalcinate
strade e orti periferici. Per tutti
gabbia a cielo aperto, dove
indistinto dal presente il futuro
era già scritto negli occhi
ancor prima di nascere.
E mentre mi tuffo in quel mare
della mente, la nebbia si dirada:
ecco le voci e i nomi dei compagnucci
in corsa dietro un pallone
e alle finestre quei visi scoloriti
di madri senza età né giovinezza
ma perennemente incinte;
ed ecco lo stradone, l’asfalto nero
che portava lontano, nel nord
dei cummenda e dei letti a ore;
e poi i crocicchi e i portoni ritrovo
di garzoncelli ignari, templi
per misere fantasticherie, trame
d’altrettanti miseri sogni
buoni a sopportare ingiurie di bottega
e manrovesci del padrone.
Ricordi che mi riportano
- in questi anni lacerati - all’origine,
che pungono la carne
come le barbe ispide dei padri
nei rari baci delle domeniche
santificate dal ragù e dalle pastarelle,
lusso che saziava l’illusione
d’essere comunque vivi,
protetti nelle notti
dal rotondo della luna.
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
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