Questa storia è presente nel magazine TUTT'ALTRE STORIE
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Pubblicato il 15 marzo 2021 in Recensioni
Tags: #Attore #Musica #Recitazione #Teatro
Se mai si volesse dare una ‘dimensione temporale’ alla recitazione di Massimo Popolizio, si dovrebbe ripercorrere dall’inizio la carriera di questo fine dicitore nonché interprete, doppiatore, commediografo, regista e quant’altro, e collocarlo nella contiguità della tradizione aedica che nella Grecia antica forgiava i cantori professionisti che nel ‘choros’ prendevano parte alle rappresentazioni del teatro classico, sia drammatico che tragico, e che più spesso erano anche compositori originali dei ‘canti epici’ che accompagnavano le parole col suono di strumenti musicali: “attraverso quelle stesse parole e quelle musiche – dice Popolizio – con le quali ho cercato di creare vere e proprie immagini, sì da far vedere ciò che è detto”.
Un melisma virtuosistico che in “La caduta di Troia”, una piéce che la critica letteraria e teatrale considera un “capolavoro assoluto per la sua struttura e per la sua forza tragica”, Massimo Popolizio ha concepito nel dare contiguità alla propria ‘voce narrante’ con l’ausilio di una seconda ‘voce cantante’, quella bellissima di Barbara Eramo, entrambe accompagnate per l’occasione da un raffinato amalgama di musiche realizzate da Stefano Saletti e dalla stessa Barbara Eramo, con strumenti tipici della tradizione mediterranea, quali l’oud, il bouzouki, il bodhran; ed altri più antichi ed evocativi come il kemence, il daf e il ney, propri della tradizione persiana, dovuti alla presenza del musicista iraniano Pejman Tadayon.
L’amalgama tra le diverse culture musicali, quella Greca e quella Persiana, presenti nel testo virgiliano, è qui sostenuto dalla recitazione ‘èpica’ di Massimo Popolizio che dà prova della sua massima esperienza attoriale; e dal canto ‘aulico’ di Barbara Eramo, da cui, ripercorrendo la tradizione orale dell’epos greco e latino, il ‘mèlos’ alchemico raggiunge la sua forma mitica-estetizzante. Qui, l’ausilio ‘rapsodico’ degli strumenti musicali, non limitati al semplice ruolo di accompagnamento, si fa ‘corpo stesso della rappresentazione’, permettendo alle parti di raggiungere l’apice della ‘prova d’attore’ tout court.
Ma “La caduta di Troia” tratto dall’Eneide virgiliana, non è solo un testo letterario di grande spessore tragico, affinché arrivi ad essere un autentico ‘pezzo di teatro’ necessita di uno studio attento della voce, di una profusione verbale eclettica, a volte carica di modulazioni intimistiche, quasi labbiali; mentre, in altri momenti si addensa di pathos emotivo, più vicino a quella liricità poetica che già nell’antica Grecia l’avvicinava al ‘canto’. Liricità che diventa ‘magistralis’ ogni qual volta Massimo Popolizio, attore di scuola ronconiana, oggi tra gli interpreti più importanti del panorama teatrale e cinematografico, si confronta con testi di una certa levatura narrativa.
Inutile ripetere qui la trama che apre il secondo libro dell’Eneide virgiliana, per quanto è bene conoscerne almeno la tematica incentrata sull’inganno perpetrato dai Greci nella guerra che, dopo dieci anni d’assedio, porterà alla caduta della città di Troia, e si trasformerà per i troiani in un evento di morte e distruzione. Dacché, dopo la violenza della guerra, ha inizio il lungo peregrinare di Enea alla ricerca di una nuova terra, che pure per volere degli déi di allora egli raggiungerà, seppure con la stessa disperazione di quanti oggi affrontano il lungo viaggio per la sopravvivenza.
Viaggio che ha inizio nell’incognita di raggiungere un approdo sicuro e che porterà molti degli emigranti che l’intraprendono a subire lo stesso inganno a monte delle loro speranze avite, e solo per aver dato laggio alle voci di una felicità irraggiungibile e senza possibilità di riscatto alcuno. Ma se l’eroe Enea poteva contare sull’aiuto degli déi, il destino dei migranti di oggi, che pure fuggono dalla violenza della guerra e di tutto quel che ne concerne, trovano ahimé una terra disastrata, dilaniata dagli interessi politici ed economici, senza ricevere quell’accoglienza agevolata che in quanto esseri umani necessitano.
Acciò il misurarsi con la ‘tragedia’ antica di tutto un popolo e la determinante drammaticità dei singoli protagonisti di questo testo, accresce nello spettatore odierno la consapevolezza della immane catastrofe umana cui andiamo incontro, per quanto virtuale attraverso i media audiovisivi, di un’esposizione che amplifichi più che mai la necessaria divulgazione in ambito formativo: per una ‘presa di coscienza’ che permetta di affrontare le sfide del domani. Ciò che poi era quanto concerneva all’istituzione del Theatron nell’età classica della Grecia antica, quello di formare i futuri ipocrites, quegli ‘attori’, nel senso più ampio di commediografi, le cui opere oggi sono parte del patrimonio culturale dell’umanità.
Registrato al Teatro India di Roma nel dicembre 2020, che Rai Cultura ha proposto in prima visione sabato 13 marzo alle 21.15 su Rai5, con la regia televisiva di Marco Odetto, su un progetto editoriale di Felice Cappa, produttore esecutivo Serena Semprini, a cura di Giulia Morelli, “La caduta di Troia”, per la Produzione Compagnia Orsini, rappresenta inoltre una prova d’autore afferente all’accompagnemento musicale di Stefano Saletti e Barbara Eramo, su musiche eseguite dal vivo con strumenti originali e non solo. Degna di nota è anche la ricerca dei canti utilizzati nella forma originale dei paesi di prvenienza: infatti le lingue cantate sono il ladino, l’aramaico, l’ebraico e il sabir, antiche lingue del Mediterraneo, per meglio risaltare le atmosfere animate da Massimo Popolizio e dalla voce limpida di Barbara Eramo che si muove tra melismi e scale di derivazione mediorientale.
Il plauso pur accreditato dal pubblico seduto davanti allo schermo televisivo non rende giustizia all’atmosfera ‘mitica’ ricreata dall’ensemble vocale-strumentale formato da Massimo Popolizio, accompagnato dalle musiche di Stefano Saletti e Barbara Eramo che altresì anelano di poter tornare a esibirsi in teatro, in quel Theatron che nell’antichità accoglieva per l’occasione le genti festanti che giungevano da ogni parte per poi restarne coivolte, al pari dell’aver scritto una pagina di storia individuale e collettiva. Ciò che è nell’anima di ogni attore e compagnia teatrale in attesa di poter riprendere il ‘lavoro’, una delle categorie più bistrattate in assoluto, la cui caduca affermazione, ancor prima della pandemia, ha ridotto bruscamente l’impatto culturale nel nostro paese.
Come ha recentemente affermato Popolizio: “Il teatro dovrà riaprire ma in modo maestoso”, alla cui voce mi permetto di aggiungere: Sì, e al più presto!
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
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