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Pubblicato il 04 marzo 2019 in Poesia
Ci potremo ancora dilungare
a fondo, respirando piano il piacere
goduto nel farlo
di guastare la mattina
con tanta allegria da asporto?
null’altro che cupole
sono vissute sulla nostra testa,
campanili mortali caricati davvero
che ci invitavano a piegarla,
cervice all’aria
aperta
e cagliosa al passaggio
della nostra figura
nel loro sguardo di latta impolverata
un abiurare al giuramento
al sussurro ingiungente
lo vedevi colare
come un solco di falce
sulla spugna del nostro avanzare
in una fedeltà serena
sottile filo di vite
allo scorrere giudice
di un rigoglioso ruscello
dapprima di granito,
il granito è eterno
ci accarezzava le tempie
da pistolettare con cura
in caso di forte crisi digestiva
d’apparato...
oibò ma ora ognuno ha la propria
di bolla smaltata;
di porfido islamico?
arenaria giudaica?
pronata nel fango, a farci affondare
una volta per tutte…
non basta un tessuto
bianco inerte
a soffiare via
il mondo complicato
dai nostri poveri occhi globosi.
anche la ceramica ha la sua atomica,
bello mio.
e se il cespuglio è sicuro,
perché da poco innaffiato
cosa potremo dire noi
poveri contribuenti!
dello sfacelo comune e generale
di ogni ordine e grado?
forse che abbiamo
un posto in prima.
perché seminare il bene
razzolare il meno peggio
racimolare l’unguento
dall’uomo felice?
tastarne la voluttà nel blocco
cementizio, attento scatarrato
di sementi vuote, lattiginose
annegate nella fermentazione,
imputridite nell’assuefazione
alla piazza del frumento
mangia in fretta cresci presto,
ke ripasso … senza impegno
lasciato a parte
ogni sdegno da disegno,
o prezzo di ribrezzo
furioso da labiale molle, suppellettile
imbellettata da schifare, bestemmia
da cacciare in gola, da assorbire
in papille molli, cedevoli
al regno che sta morendo
a milioni
in amicizia, beninteso?
sono piccole le mani
di coloro che vivono, ma forse
domani, non saprei
se più
urlano nel cieco dirupo
dello stinco livido
e insensato di una vecchia
carrucola mondiale
dall’ammasso creaturale
senza una virtù
recuperate il maltolto!
se avete tempo tra un tempo
e l’altro della partita
che non tornerà in giornata
una sciccheria la chiappetta
sulla grappetta di carne
di mio marito, oh cielo,
che dito! Carnoso quasi capillare
tentacolare nello strappo
del frutto dal ventre
quasi testicolare direi
ma nulla da fare
da mangiare e foraggiare
limpido scoraggiare
in testa di scimitarre
arrugginite dal compromesso
storico come la cancrena
della nostra arca societaria,
tanto a fondo perduto
che di quanto tu pensi
non v’è rimasto
che l’unto primordiale…
e se invece dicessi
che non è vero niente
che tutta questa girandola
di gente, di colla agglutinante
non porta a nulla
senza sentirne le campane
dal loro suono stridente
altalenante
abbacinante /se vi pare;
sculettante di felicità
bruciante
per le schiere a testuggine
lucenti e carezzanti,
trremolanti nei lividi inferni
che ci chiudono a cuore
nelle strade d’infanzia
cosparse di benzina
e se nell’umore di misera topina
pieghi la testa sul forno
quello acceso verso Cracovia
allora te ne accorgi
vedi le fiamme sulla salita
la città dei bambini quasi trovata
che sfila turrita
di madide catene, salve
ma che nulla risolve, impura
di ogni nostra virtuale paura;
tanto più che magrebini
son questi istinti
di declinazione, non fissa
in tanto epocale esposizione,
che a trattarla farebbe male
se non la cedessimo
all’exportatiòn
– senza exploitatiòn
per carità!
della popolassione minacciata
da un furore di fornicazione
che gode la liberazione
dal labbro bagnato
di guardone,
o virgulto belato!
ma quant’è in pregio
l’orgoglio e il furore
la passione la farneticazione
da recinzione scura
imperlata di vipere
protetta dalla persecuzione
del comun dolore e rinata
nel tempo dei giochi –
la recriminazione
simulata, vinta in mortale ironìa
verso gli ultimi rintocchi.
Vergogna?
mi alzo e maledico
mille volte e poi cinquanta
senza per questo rincuorarti
della morta sostanza, della rivalsa
del ciuffo d’erba, accarezzato piano
piano
secondo volo attraverso il corpo
brucia calore il sole terso;
brama doppiezza
magone di falloppio, come voragine
a cartagine, il blu assassino
su un grattacielo
sott’acqua; e non so
se ne ho
più la forza
esimentissimo!
reverendissimo…
gorgogliantissimo
morigerato florilegio
di compost ambientale
riuscirai?
in cotanto spazio
di croce monumentale
ad accreditarti per la fine
in preparazione –
credo di no, un no che sia
un no
a denti scoperti, piccoli
guance di garzone
incendiate dal freddo,
sulla strada
cara e risaputa
di un altro bastone
padronale.
gennaio 2003
ffff
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
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