669 visualizzazioni
4 minuti
Pubblicato il 23 gennaio 2020 in Horror
Tags: #autoinduzione #inferno #maledizioni #paradiso #purgatorio
Anna stava sparpagliata in mezzo alle sue cianfrusaglie
vudù, a incantesimi, scongiuri scritti su pezzi di carta,
bambole forate o impiccate, gatti sventrati, galline dalla
testa tagliata, sangue in bacinelle, fotografie della famiglia
che la ossessionava, manuali sulla stregoneria presi in
biblioteca.
Suo marito e sua figlia erano andati dai nonni,
e lei ne aveva approfittato per fare, in quella settimana,
della sua casa una sorta di antro di quella definiscono
magia nera.
A guardarla non le avreste dato nulla: era una slavata e
mediocre cinquantenne, con i capelli troppo lunghi e il visino
da roditore alla senape, il culo grosso, gli occhiali, e le labbra
rinsecchite sopra la pelle malaticcia.
Aveva passato una vita squallida e ritirata, piena di fobie e
ossessioni, finché aveva conosciuto, a trentotto anni, Claudio
Ravanelli, di sette anni più giovane, e presuntuoso, oltre i limiti
massimi di velocità esasperante massima consentita.
Un bambacione che fungeva (piazzato dalla curia) da caporeparto
al settore psichiatrico dell'ospedale di Borgo. Un uomo che
s'era messo in testa di avere un figlio da quell'arnese scassato
a forma di donna, forse per sperimentare qualcosa, forse per
nutrire il suo ego allargato, e farsi bello con un dio che era tutto
privato, tutto carte da bollo e spintarelle strategiche.
E la figlia, dopo due anni e traversie di ogni tipo, era
venuta, sovrastando immediatamente l'immagine materna e
mettendola da parte. Ravanelli non aveva occhi che per la
sua bimba, e Anna s'era trovata a fare la parte della gregaria,
mentre lui educava l'infante nelle sue maniere.
Persino in macchina, adesso che Karen aveva dieci anni,
Anna stava sempre sul sedile posteriore a macerare pensieri,
e a rosicchiarsi le unghie fino alle lunette bianche.
Con il trascorrere del tempo s'era messa in testa che le sue
disgrazie venivano dal malocchio, che le era stato sicuramente
appioppato dalla famiglia che abitava l'appartamento sotto di
loro. La mia.
Fisime, nevrosi, ossessioni. Ma lei s'era calata pienamente nella
parte, e quel giorno, con le tapparelle calate e le tende tirate,
nel buio più assoluto, tranne la luce di un mozzicone di candela,
come da copione, preparava filtri e declamava incantesimi sgangherati,
prelevati un po' qua, poi beveva decotti e beveroni impossibili.
Sul pavimento aveva tracciato segni propiziatori e pentacoli.
Alla parete stavano appese le foto, singolarmente prese, in seguito
a lunghi appostamenti, dei membri della famiglia sottostante.
Gente sana, che scoppiava di salute, felice e positiva,
quasi sfacciata nella loro esposizione della sanità e bellezza.
Per tutto il giorno Anna era andata avanti a lanciare maledizione,
e a cercare di propiziarsi qualche divinità sconosciuta, ma almeno
maligna e letale. Poi, alla sera, esausta, s'era addormentata su una
poltrona, dopo avere dato un'ultima occhiata al casino terribile che
aveva lasciato nel soggiorno.
Da quel momento era iniziato per lei il vero e proprio tormento
dell'attesa. Aveva ripulito tutto prima del ritorno di suo marito e
della figlia, poi si era messa ad attendere buone novelle sulla
salute peggiorata degli inquilini sottostanti.
Purtroppo le cose non erano andate esattamente come la vecchia,
scipita mammina si era auspicata: giorno dopo giorno la famiglia
Strauss (la mia) non mostrava nessun segno di deperimento o
tristezza, non trasmetteva nessuna sensazione di disturbo (psichico
o fisico) nonché malessere.
Il giovane Strauss (io) continuava a mandare a tutto volume la sua
impossibile musica techno, che scuoteva alle fondamenta tutto il
palazzo.
E l'apprendista strega, nauseata, aveva iniziato a incupirsi ulteriormente,
e a non alzarsi più dal letto. In maniera lenta, ma inesorabile, era scivolata
nell'agitazione immotivata, nell'ansia, lungo tutti i gradini della paranoia
clinica, e, al termine della trafila, mani e piedi dentro la follia accertata.
Senza che i medici riuscissero a trovare una spiegazione razionale e
una cura propedeutica. Si era parlato di tare ereditarie (anche la madre era
terminata, a grandi linee nella stessa maniera, con l'aggiunta di una catatonia
conclusiva di quattro anni) Poi, sei mesi tardi, le era stato diagnosticato
un tumore al pancreas, e nel giro di un anno era tornata al Creatore,
che l'aveva accolta, buonanima, malgrado pentacoli, ammennicoli diabolici,
invocazioni a Satana, e mercanzia varia ed avariata.
Ricordo.
Era il periodo in cui ultimava la tesi sul MALLEUS MALEFICARUM.
E mi ero addentrato nella terra di confine tra il Bianco e il Nero.
Borderline insaccata lungo l'oscurità e la piena luce.
Strana la vita: fatta di coincidenze parecchio originali: quasi ogni volta
che uscivo per completare i miei anni di specializzazione accademica
mi imbattevo nel vedovo, che fischiettava sempre un'arietta sostenuta
di qualche opera lirica (credo Rossini fosse il suo favorito), e in Karen,
accompagnata com'era, e come sarebbe sempre stata.
E Karen mi osservava.
Ops! Sembra che tu abbia un po' esagerato, assicuraci che tu non sia un robot!
×
Nessuno ha ancora commentato, sii tu il primo!